“La città è
stata fatta inizialmente in vista del vivere (gratia vivendi), cioè affinché
gli uomini trovassero a sufficienza ciò di cui potessero vivere, ma dal suo
essere deriva non solo che gli uomini vivano, bensì che vivano bene (quod bene
vivant), in quanto attraverso le leggi della città la vita degli uomini è
ordinata alle virtù”
San Tommaso d'Aquino,
In octo libros Politicorum Aristotelis expositio, I, lectio I, 31. (Fonte:
Prodocs.org)
Tommaso d'Aquino (1225-1274) è uno dei più noti filosofi medievali. In
questo periodo la filosofia si occupa principalmente di rileggere i testi della
filosofia antica reinterpretandoli in chiave religiosa. Più precisamente, San
Tommaso studia sopratutto i testi di Aristotele rivisitandoli secondo
l'interpretazione cattolica.
Nella citazione proposta, Tommaso d'Aquino riprende la teoria del bene
aristotelica. L'uomo è parte di una società (civitas) che deve perseguire come
obiettivo principale il
bene comune. Esso è garantito dalla giustizia
che permette agli uomini di vivere secondo virtù; Attenzione: il bene comune
coincide con il bene della città ma non aliena il bene del singolo. Si noti
sopratutto che per il filosofo la città non coincide con un ben definito
agglomerato urbano, bensì, è il territorio di una moltitudine di persone, in
altre parole, si avvicina più al concetto di polis greca che non a quello di
città moderna. Perciò nell'accezione di San Tommaso il territorio è inteso più
come realtà politica che come ente geografico.
“Così il
lavoro, all’inizio, diede un diritto di proprietà dovunque qualcuno volesse
servirsene su ciò che era comune, che rimase a lungo la parte di gran lunga
maggiore, ed è ancora più di quanto l’umanità ne faccia uso. All’inizio, gli
uomini per lo più si accontentarono di ciò che la natura incolta offriva alle
loro necessità; in seguito, tuttavia, in alcune parti del mondo (dove con
l’aumento della popolazione e dei beni e con l’uso della moneta, la terra
divenne scarsa, e quindi di qualche valore) le diverse comunità fissarono i
confini dei diversi territori, e, per legge, regolarono tra loro le proprietà
dei privati all’interno della loro società, e così, per contratto e consenso,
stabilirono la proprietà cui il lavoro e l’industria avevano dato origine.
Mediante alleanze, strette tra loro, i diversi stati e regni, disconoscendo in
modo espresso o tacito ogni rivendicazione e diritto alla terra in possesso di
altri, hanno, per comune consenso, rinunciato a ogni pretesa al diritto
naturale comune che originariamente avevano su quei paesi; e hanno così, per
accordo positivo, definito le loro rispettive proprietà su diverse parti del
mondo. Vi sono tuttavia grandi aree della terra che devono essere scoperte, che
rimangono terra di nessuno (poiché i loro abitanti non si sono uniti al resto
dell’umanità consentendo all’uso comune del denaro), che sono più estese di
quanto la popolazione che le abita possa farne uso o ne usi, e così rimangono
ancora comuni; benché ciò possa difficilmente accadere tra quella parte
dell’umanità che ha consentito all’introduzione della moneta”
John Locke,
Due Trattati sul Governo, cap.V, II trattato. (Fonte:
unipi.it)
Qualche m
illenio dopo, John Locke (1632-1704) nel suo scritto
“Due Trattati sul
Governo” affronta temi di filosofia politica parlando, ovviamente, anche
del concetto di territorio. Il filosofo inglese afferma una tesi espressa da
molti pensatori di quel periodo secondo la quale la necessità degli uomini di
riunirsi in società governate da stati nacque in seguito all’avvento della
proprietà privata: in seguito all’aumentare della popolazione, le terre che
prima erano comuni ed utilizzate per il sostentamento della comunità,
acquistarono valore poiché divennero più scarse se rapportate alla popolazione;
si rese perciò necessario regolare i rapporti tra le proprietà interne alla
comunità al fine di garantire il quieto vivere, perciò nacque lo Stato.
Inoltre, fu indispensabile determinare i confini entro il quale aveva potere
ogni organo governativo. Si noti che il pensiero espresso da Locke ricorda in
parte quello di Platone (
Platone,
stato ideale e territorio). Confrontando i due concetti di territorio
affrontate in questo post si può affermare che, sebbene i due pensieri siano
ovviamente condizionati dal periodo storico e dalla vita dei due filosofi, essi
presentino molti punti di contatto. Locke si concentra maggiormente sul
processo che ha portato il territorio da ente geografico a ente politico,
mentre San Tommaso si sofferma più sul legame tra il territorio e il benessere
della comunità.